Fondello: un nome così strano: ci avete mai pensato? Eppure l’ascesa dei fondelli nel ciclismo è una cosa seria.
Immaginate di dover correre una gara oggi con maglia e pantaloncini di lana come una volta e uno strano pezzo di pelle in mezzo alle gambe.
Questa pressappoco era la sensazione che dovevano provare Coppi e Bartali alla ricerca dei primi successi al Giro e al Tour negli anni quaranta.
Al di la’ di assicurarsi che il cambio facesse la sua parte e non li lasciasse li a smanettare sulle levette se un rapporto non entrava, c’erano anche altri problemi cui pensare all’epoca. “Cos’è questa sensazione spiacevole in mezzo alle gambe? Avrò messo abbastanza crema nel fondello?”. L’ascesa dei fondelli era ancora lontana…
Considerate quanto accaduto nel mondo dell’abbigliamento per ciclismo nell’ultimo secolo, ovvero da quando esiste l’abbigliamento ciclistico: sulle maglie si è passati da lana a fibre sintetiche, si sono cambiati i bottoni col le zip (grazie nonno Emilio De Marchi!) e abbiamo detto addio alle due tasche anteriori sulle maglie. Tutto qui.
Circa la stessa cosa è capitata ai pantaloncini, ma con una eccezione significativa: il fondello. Dalla lana alla Lycra nel 1977 (grazie Descente per aver ordinato quei campioni a Toni Moussa-Maier), bretelle che prima non c’erano e voilà: benvenuti nel nuovo millennio, dove comprare un paio decente per meno di duecento euro è diventata un’impresa…
I fondelli invece hanno subito dei cambiamenti radicali ed hanno usufruito molto di più dei progressi in fatto di tecnologia degli stessi prodotti su cui sono installati. Il fondello infatti è diventato il terminale principale tra il corpo e la bici, insieme al manubrio ed ai pedali, seppur in scala minore.
Ancora negli anni novanta era praticamente impossibile selle confortevoli per bici da strada. E il bello è che adesso siamo allo stesso punto. Con qualche eccezione (grazie, SMP) degna di nota, l’unico progresso effettuato è relativo alla diminuzione di peso, non tanto all’aumento del confort.
Nel 1991 Selle Italia lanciava la Flite, una sella interamente in carbonio che pesava meno di duecento grammi, rispetto al doppio circa degli altri modelli sul mercato. Oggi la SLR C59 pesa soli 63 grammi. Ricapitolando, abbiamo risparmiato un paio d’etti abbondanti là sotto. E poi? Niente di che.
I fondelli invece ne hanno fatta di strada nel frattempo. Da pelle di pecora a daino, fino alle microfibre coagulate, passando per imbottiture al gel, a cellula aperta, tecniche di termoformatura, stampi, materiali antibatterici, batteriostatici, 3D e via dicendo.
Innanzitutto il nome: fondelli. In inglese “chamois”, che, oltre ad essere il nome di una cittadina della Val D’Aosta famosa per aver di fatto bandito le automobili (per coincidenza un paradiso ciclistico!), deriva da Camoscio. La pelle di camoscio è stato infatti il materiale d’elezione dei fondelli per pantaloncini da ciclismo per un tempo sufficiente a diventarne sinonimo. Omen nomen, diremo.
I primi fondelli venivano realizzati con pelle di pecora. Se ne ha notizia a partire dagli anni trenta del secolo scorso. Ma il dominio delle pecore non durò molto nel ciclismo e già a partire dagli anni cinquanta De Marchi fu tra i primi a sostituire la loro pelle con quella di daino, più morbida e disponibile in quantità.
La pelle di daino durò fino agli anni ottanta, finché i giapponesi sbarcarono in Europa con la soluzione ai problemi di coscienza di un mercato, quello dell’abbigliamento per ciclisti, che si stava gradualmente aprendo alle masse.
Precisamente nel 1980 una multinazionale giapponese, la Haru-Kuraray, presento per la prima volta in Europa una microfibra coagulata dal nome di Amaretta. Virtualmente identica al daino naturale, aveva come unica discriminante la mancanza di odore tipico della pelle.
Il nuovo materiale era destinato principalmente all’industria dell’arredamento e a quello dell’automobile, in sostituzione della pelle naturale ma ebbe un grande impatto anche nel ciclismo, per le ragioni di cui sopra.
Anche la microfibra coagulata non era destinata a durare però. A parte il suo grande successo inziale dovuto anche espansione senza precedenti del mercato ed alla sua facile reperibilità, di fatto non aveva comportato alcun miglioramento significativo rispetto alla pelle di daino.
Era solo una questione di tempo prima che qualcuno pensasse a qualcosa di drasticamente migliorativo.
Sul finire degli anni novanta, dopo anni di test riservatissimi, De Marchi registrò una domanda di brevetto internazionale per un fondello elastico, che era innovativo da molti punti di vista rispetto a quanto disponibile sul mercato.
Il tessuto intanto era elastico, appunto. Si trattava di una microfibra italiana accoppiata con tecnica di termoformatura a caldo a delle speciali schiume a cellule aperta di densità differenziata.
Fu una rivoluzione che colse tutti di sorpresa. l’ascesa dei fondelli era iniziata.
Da mero accessorio del pantaloncino, destinato a lenire lo sfregamento delle gambe con la sella, il fondello sarebbe diventato di li a poco il cuore tecnologico dell’abbigliamento ciclistico.
Il livello di confort in sella, grazie alla riduzione attiva delle vibrazioni, al movimento solidale con il corpo ed alla elevata elasticità, aumentò drasticamente.
il beneficio fu tangibile immediatamente sia per i ciclisti amatori che per i professionisti.
Cytech, inizialmente una divisione di De Marchi, si affermò presto sul mercato come azienda autonoma, imponendosi come leader tecnologico di un settore che non esisteva.
Elastic Interface fu il marchio designato per veicolare il fondello elastico alla più parte degli altri marchi di abbigliamento ciclistico di qualità, che oggi lo adottano su licenza.
L’ascesa dei fondelli nell’abbigliamento per ciclismo era diventata realtà.
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