La data è il 1958, il luogo è Arcore, cittadina brianzola a nord di Milano che di li a poco sarebbe diventata famosa per le imprese di Silvio Berlusconi. Villa Certosa dista infatti poco più di un paio di chilometri in linea d’aria. Pietro Molteni è il re indiscusso dei cotechini in Lombardia ma ha l’ambizione di entrare nelle case di tutti gli italiani. È allora che il furbo imprenditore della carne (di quale dei due stavamo parlando?) se ne viene fuori con l’idea di creare una squadra ciclistica dal nulla per veicolare i propri prodotti. siamo ancora nel mezzo della cosiddetta età d’oro del ciclismo. Bartali aveva vinto uno storico Tour de France che era addirittura servito a riunificare una nazione sull’orlo di una crisi di nervi appena una decina di anni prima e da allora il ciclismo era diventato lo sport nazionale.
l’idea piacque subito a tutta la famiglia Molteni che si mobilita per realizzare l’impresa e Ambrogio, il figlio del Sciùr, è incaricato di portarla avanti. Tale padre quale figlio, Ambrogio, pur senza esperienza specifica, è tagliato per la pubblicità e in uno sport dominato da colori accesi (quasi tutte le maglie delle squadre dell’epoca erano infatti rosse, gialle o blu) decide che la neonata squadra Molteni vestirà un solo apparentemente improbabile tono di marrone chiaro. Infatti è lo stesso colore dei teloni dei camion con cui si trasporta la carne da Arcore in tutta Italia. Marroni i cotechini, marroni i camion, marrone la maglia. Voilà, in un attimo una nuova idea di marketing visivo si fa strada nell’Italia del dopoguerra. Fino a poco tempo fa nessuno in effetti conosceva la ragione dello strano colore di una maglia che è forse la più popolare del ciclismo del passato. A decodificarlo quel colore c’è voluto un attimo. Da un’occhiata insistita all’esemplare originale indossato da Eddy Merckx che campeggia sulla scrivania di Mario, figlio di Ambrogio, nel suo ufficio di Besana (l’azienda nel frattempo è stata trasferita poco distante ed ha cambiato nome in Salmilano), grazie al Pantone tessile si ricava chiaramente che il colore è certamente il 16-1432 “mandorla”. Tra infinite foto di lui bambino seduto sulle gambe del cannibale e ancora, su di una mini bici estremamente professionale mentre cerca di batterlo, sempre lui, il cannibale, dentro i capannoni dell’azienda paterna, compare anche un contratto. Redatto a macchina, probabilmente da Pietro in persona, non sembra infatti per nulla scritto in legalese, forse su una Lettera 22, l’occhio scivola subito sulla parte migliore: “Accetto di pagare Lire (…) al Signor Édouard Louis Joseph Merckx e in cambio lui è libero di fare ciò che vuole”. Fantastico: efficiente imprenditorialità brianzola allo stato puro!
Ambrogio non ha esperienza di squadre ciclistiche ma si fa subito voler bene per quel suo modo familiare di chiamare tutti per nome e da alla squadra un’impronta precisa: come l’azienda paterna, diventa una grande famiglia.
I primi anni sono i più romantici con Gianni Motta meravigliosa scommessa, assunto su precisa indicazione di Ernesto Colnago. Motta era un giovane di belle speranze e lavorava, coincidenza vuole, alla Motta, ma non aveva i soldi per la bicicletta, così Ambrogio mette mani al portafogli e gliela compra lui. “Mi ripagherai con le vittorie”. Scommessa azzeccata. Motta vincerà il suo primo giro d’Italia solo nel 1966 ma per la famiglia quella è una delle imprese di cui vanno più fieri. Insieme alla Sanremo del 1970 con Dancelli. “Se vinci te regali el stabiliment!”, urla Ambrogio dall’ammiraglia e così fu. La vittoria, s’intende, non la fabbrica! E poi arrivò il cannibale…
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